Lettera a Damiano

Caro Dami,

è già passato un anno da quando te ne sei andato, o meglio, da quando ti hanno mandato via. Come è cambiata la mia vita, della mamma, di Deborah e di tutti i parenti e amici.

Ci hai lasciato un vuoto pazzesco, ci manchi ogni giorno.

Non mi sembra ancora vero che sia successo, la mia mente si rifiuta di accettare un avvenimento così tremendo, ma purtroppo so bene che la realtà è questa. È successo un anno fa, ma mi sembra ieri che io ero a letto con l’influenza e tu mi aiutavi ad alzarmi, poi quella mattina del primo febbraio, tu ti eri fermato a dormire da Alberto dopo il carnevale di Roveredo e sei arrivato a casa in tarda mattinata. Mentre io che stavo un po’ meglio mi sono alzato per andare in bagno e ho guardato dalla finestra, era una giornata fredda e uggiosa, ricordo che mi ha colpito vedere un grande uccello con le ali verdi, pensai che fosse scappato da una qualche voliera. Poi se ne volò via e non ci pensai più. La sera saremmo restati solo noi due a cena, perciò volevo prepararti qualcosa, ma tu non hai voluto per non darmi disturbo perché avevo ancora un po’ di febbre, così sei andato a mangiare dalla nonna che nel frattempo ti aveva invitato. Io ero sdraiato sul divano e tu mi hai detto “ciao papi, vado a cena dalla nonna e poi scendo a Locarno” e io ti risposi “va bene, ma quando vuoi tornare a casa, chiama pure a qualsiasi orario che io o la mamma veniamo a prenderti”. Queste furono le ultime parole che ci scambiammo.

Poi verso mezzanotte squillò il telefono, io ero già a letto e ha risposto la mamma che era in salotto, pensai che fosse Deborah che era a Olten e che ci chiamava per dirci che era rientrata a casa dopo il lavoro, invece arrivò in camera la mamma tutta trafelata, aveva telefonato Alberto dicendo che ti avevano portato al pronto soccorso, ma non ne sapeva di più. Dimentico del tutto dell’influenza mi sono vestito in fretta, poi sono venuto all’ospedale con la mamma e strada facendo cercai di tranquillizzarla perché era molto agitata. Poi l’attesa al pronto soccorso, e infine il verdetto del primario: “signori, mi dispiace, non c‘è più niente che la medicina possa fare per vostro figlio”, senza appello e senza attenuanti.

Più tardi ci accompagnarono al reparto cure intense, dove ti avevano portato dopo gli esami, sembrava che tu stessi dormendo, ma anche in quello il primario è stato chiaro, ha detto: “non illudetevi, è la macchina che respira”. Capirai che ci è crollato addosso il mondo, io e la mamma non riuscivamo a capire, ad accettare. In seguito siamo stati accompagnati a casa, eravamo molto confusi, nell’atrio dell’ospedale c’erano tutti i tuoi amici in attesa di notizie ma lo sapevano già che eri grave ed erano disperati. Fuori impazzava il carnevale ma l’atmosfera era surreale, non potevo immaginare che qualcuno potesse divertirsi, ma non sapevano, non ancora.

Il mattino seguente all’ospedale c’era moltissima gente, i parenti e gli amici venuti a trovarci, che erano tutti sconvolti e increduli, caro Damiano l’hai proprio fatta grossa.
Verso mezzogiorno ci raggiunse anche Deborah, le avevo telefonato al mattino dicendole di prendere il primo treno e venire a casa, non le avevo ancora detto che non c’era speranza, ma entrando all’ospedale, il cappellano ha fatto una grossa gaffe, malgrado che non fosse ufficiale la tua morte si è avvicinato porgendoci le sue condoglianze, fu una doccia fredda anche me che già lo sapevo, ma per lei fu tremendo. Quando ti vide mi disse: “ma dai, sta solo dormendo”, era proprio inaccettabile.

Credimi Damiano, non ho mai passato giorni così brutti, settimane, mesi. Nel pomeriggio vennero due ragazzi a spiegarci cos’era successo, erano quelli con cui stavi parlando quando fosti aggredito. Fui loro grato per aver avuto il coraggio di venire a parlarci, fu importante sapere che cosa era successo, anche se seppi poi che uno di loro non era proprio un santo e infatti, visto i suoi precedenti in un primo momento fu arrestato e condotto via in manette, probabilmente ha voluto mettere in evidenza anche davanti a noi che lui non aveva fatto niente.

Ritornati da te venne la dottoressa, mancava poco alla seconda e ultima prova di staccarti la macchina per vedere se avresti respirato autonomamente, ci chiese se eravamo d’accordo per la donazione degli organi, come prima reazione pensai: “ma cosa mi chiedono? Damiano non è mica morto”. Io e la mamma ne parlammo, bisognava guardare in faccia alla realtà e dare una risposta perché l’organizzazione per l’espianto è molto complicata e richiede tempo. Il nostro problema era di accettare l’idea della tua fine, la possibilità che tu non saresti più tornato a casa, ma poi sapevamo della tua grande generosità e che tu stesso ti saresti arrabbiato se non avessimo dato la possibilità di continuare a vivere a cinque o sei persone. Più tardi arrivò a farti visita il Vescovo, rimasi impressionato vedendolo ad abbracciarti in lacrime, non lo credevo così sensibile.

Giunse anche il momento della seconda prova, speravo tanto che ce la facessi ma purtroppo fu decretata la tua morte. Era così difficile da credere anche perché ti avevano ancora riattaccato alla macchina per respirare in attesa dell’espianto che sarebbe avvenuto all’indomani. La domenica pomeriggio dovettero trasportarti a Lugano per l’espianto degli organi, noi volevamo stare con te il più possibile, così ti abbiamo seguito, c’era anche la tua sorellina. Quando arrivammo in una sala d’attesa dell’ospedale c’erano alcune persone che leggevano un giornale domenicale e restammo impressionati nel vedere una tua fotografia in prima pagina, sembrava talmente assurdo. C’era uno che diceva: “ma guardate la foto, deve essere per forza un bravo ragazzo, non ha mica gli occhi di uno che va a cercare rogne” e io mi avvicinai dicendogli che aveva ragione, lo sapevo bene perché io ero suo papà.

Ogni volta che si poteva volevamo tenerti la mano, abbracciarti, fino alla fine e quello fu un altro momento terribile, quando ci fecero entrare in una camera e, tu eri li, freddo. Poi sentimmo un elicottero che partiva con la parte di te destinata a vivere. Tornammo a casa, non mi ricordo che ora fosse ma era notte da un bel po’, eravamo tutti in uno stato di stanchezza, dolore, da incubo, stato che continuò anche per molti giorni, settimane, mai stati peggio.

Lunedì è arrivata molta gente, parenti e amici, era venuto anche il tuo amico Elmin, mi disse che il mondo dei bloggers e non solo si era scatenato contro gli stranieri, specialmente balcanici e anche lui che è kossovaro aveva ricevuto messaggi osceni e minacce. Quando fummo finalmente soli, mancava poco a mezzanotte e io ero stanchissimo, ma continuavo a pensare a quanto mi ha detto Elmin, lui che era uno dei tuoi migliori amici, non era giusto. Così mi misi al computer, non so con quale forza e come ho fatto a trovare le parole, sono sicuro che ci hai messo tu lo zampino, ho scritto una lettera per giornali, radio e televisione, cercando di trasmettere un messaggio che contribuisse a calmare le acque. Stando a quanto ho poi sentito dopo pare che sia servito. Grazie Dami.

Arrivò anche il giorno del funerale, certo che ti è stato reso un grande onore, c’era tantissima gente, le autorità, tre consiglieri di stato, due vescovi, moltissimi militari.
Ma tu lo sapevi già, vero? Un giorno, quando ci rivedremo, mi dovrai spiegare perché pochi giorni prima della tua partenza, commentando la grande partecipazione al funerale del ragazzo tuo vicino di tomba, dicesti alla mamma: “vedrai al mio, quanta gente verrà e ci saranno anche le autorità”.

E poi, che dopo la tua morte mi sono venuti in mente diversi fatti strani, ad esempio che io quello che ti è successo l’avevo pensato più di una volta, non mi ricordo in quale occasione, forse nel dormiveglia. Chiaro che questi pensieri li ho scacciati subito dicendomi “ma che scemo, che cavolo penso?”. Poi più volte hai detto, parlando delle tue ambizioni per il futuro: “vedrete come sarò famoso”, io e la mamma ne eravamo fieri, certo, ma la tua fama non doveva essere questa. Questa forse è una stupidata ma ho pensato anche a quell’uccello verde che vidi quel maledetto giorno di carnevale, che sia stato un “uccello del malaugurio”? Questi sono solo alcuni dei fatti strani che sono successi, ne avremo di tempo per discuterne quando ci ritroveremo.

Sai, com‘è difficile cercare di dare un senso a quello che ti è capitato, tu che volevi bene a tutti, ti hanno proprio scelto bene come vittima. Quante volte mi sono chiesto, ma perché tu? Perché dovevi proprio essere li in quel momento? Perché, perché?
Lo so che dovrò ancora attendere un po’ per avere una risposta, ma, anche se con molta fatica, sono riuscito ad avere la consapevolezza che ci sia un disegno ben definito per ognuno di noi, che la tua missione era questa e che dovevi dare un segno forte per scuotere le coscienze della comunità.

Un giorno uno dei tanti miei amici che conoscevi bene anche tu, Ivo, mi propose di creare una fondazione in tua memoria. Mi parve subito un’ottima idea e dopo averci pensato qualche giorno, mi attivai per concretizzarla. Mi piacque proprio l’idea che con una fondazione a te dedicata si potesse mantenere viva la tua memoria e nel contempo fare qualcosa di positivo e di buono, ciò poteva essere un mezzo adatto per dare almeno un po’ di senso alla tua morte. Lavorare per la fondazione è una delle poche cose che, ancora tuttora mi fanno bene e mi aiutano ad elaborare il lutto della tua partenza. Però sono anche sorpreso non poco dall’enorme interesse e sostegno che suscita la fondazione e mi rendo conto della necessità che aveva la nostra società di un organo indipendente per la prevenzione della violenza giovanile, ciò un po’ mi spaventa per la grande responsabilità di cui mi carica, ma so che ce la farò con l’aiuto degli altri membri e sopratutto con il tuo. Però, Damiano, dovevi proprio essere tu il “martire”?

È molto strano essere al centro dell’attenzione, come comportarsi, sentire le reazioni della gente, una cosa che non capiscono è che per noi, come tutti i genitori che hanno perso un figlio, il nostro problema è proprio quello, invece secondo la maggior parte coloro che venivano a dimostrarci la loro solidarietà doveva essere il modo in cui è successo. È vero, sapendo che sei morto per la precisa volontà di qualcuno fa rabbia, molta rabbia, non sai quali pensieri ho fatto contro i tuoi aggressori, quante volte sono andato in giardino a sfogarmi prendendo a bastonate quello che capitava. Se li avessi avuti fra le mani in quei momenti, non so come ne sarebbero usciti, ma so bene che la vendetta non ti riporterebbe indietro, che sarebbe altra violenza e che alla fine diventerei come loro. No, noi non siamo così, anche tu come me avevi fiducia nella gente e quando ti hanno aggredito ne sei rimasto talmente sorpreso che non hai nemmeno reagito.

Da quando te ne sei andato non ho fatto che ripensare a tutto quello che abbiamo passato assieme, ho anche scritto un racconto sulla tua vita come se fossi stato tu a farlo, chiaro, visto con i miei occhi che si riempivano di lacrime ad ogni passaggio, spero che ti piaccia, adesso si trova sul sito della fondazione. Non sai che dolore si prova a rivedere le tue foto, eri un giocherellone e facevi sempre le smorfie davanti all’obiettivo, difficile trovare foto serie. All’inizio facevo una fatica enorme a vedere le foto che ti avevo scattato a Weggis alla cerimonia per la promozione a tenente, secondo me quello è stato il giorno più felice della tua vita. È anche per questo che abbiamo deciso di metterti l’uniforme al tuo funerale. Poi, com‘è stata dura andare a Zurigo a liberare il tuo appartamento, l’abbiamo fatto io e la mamma un mese dopo la tua morte (mi fa ancora impressione scrivere questa parola riferita a te), la tua camera era ordinata come sempre, ogni cosa che ci veniva in mano era pesantissima, le tue maglie preferite, il tuo computer, i tuoi libri. Avevo sempre una rabbia dentro, sopratutto per l’impotenza e per la consapevolezza che non si poteva più fare niente per riaverti.

Durante quest’anno sono successe molte cose che non avrei mai immaginato potessero capitare a me, interviste a giornali e televisioni, discorsi davanti a centinaia di persone, inviti a conferenze sulla violenza, ho incontrato molta gente che non pensavo di conoscere, grazie a te, ma ti giuro, come vorrei che non fosse successo niente e riavere la mia vita di prima, con le mie gioie, le mie speranze e i miei piccoli problemi.

Anche la giustizia stava facendo il proprio corso, si avvicinava piano piano anche la data del processo, finché ce la comunicarono, l’inizio sarebbe stato al 19 gennaio. Non ti nascondo che l’avvicinarsi di questo momento mi dava un po’ d’ansia e prima di quello ci sarebbe stato il Natale, il primo senza te. Per fortuna abbiamo deciso di fare ugualmente la vacanza con tutta la famiglia che ti avevo promesso l’anno scorso, siamo andati in Thailandia con Deborah e Christian, ti sarebbe proprio piaciuto tanto.
Per tutti noi è stato un momento di distacco, ma non da te, sapessi quante volte ti abbiamo nominato. Il beneficio delle vacanze è durato molto poco, infatti si avvicinava a grandi passi l’inizio del processo e l’ansia diventava sempre più grande. Non sapevo bene come avrei reagito a guardare in faccia i tuoi assassini ed era anche inevitabile un incontro ravvicinato con i loro genitori.

Arrivò quindi anche il primo giorno, era lunedì 19 gennaio. È stato strano vederli, ad un primo momento ho visto dei ragazzi, magari un po’ intimoriti a trovarsi seduti su una sedia davanti a giudici e giurati. Ma appena il giudice cominciò ad interrogarli, anche con una certa veemenza, ho cambiato subito idea, non erano proprio dei ragazzi che ne hanno combinata una più grande di loro, erano piuttosto arroganti, molto reticenti ad ammettere certi particolari evidenti e davano delle spiegazioni assai assurde sui fatti. Cercavano con scaltrezza di ingannare giudice e giurati, che evidentemente però erano tutt’altro che stupidi. Sai Dami, la cosa che mi ha fatto più male è che nei loro occhi non ho visto un’ombra di pentimento, a parole lo hanno detto, ma se lo fossero stati veramente avrebbero collaborato e detto tutto ammettendo le proprie colpe, avrei volute sentire da loro perché lo hanno fatto, invece sono stati reticenti fino alla fine. Peggio per loro in fondo, se fossero stati più collaborativi avrebbero sicuramente avuto una pena minore.

Io e la mamma avevamo bisogno di sapere cosa è successo, era un passaggio necessario, ma che fatica! Abbiamo saputo nei dettagli di quale crudeltà sei stato vittima, è assolutamente incredibile e inconcepibile che sia potuto succedere, i tuoi aggressori dovevano proprio essere invasati dal demone della stupidità. Purtroppo mi si sono aperti gli occhi su una realtà giovanile, non solo per quei tre, ma per tutto quello che c‘è stato a contorno, ragazzi ubriachi, bande che cercano solo il minimo pretesto per innescare un conflitto, magari con l’intenzione di scatenare una rissa. Questo è anche la dimostrazione dell’impellente necessità che ha la nostra società di un organo come la nostra fondazione. Vedi, che almeno così riusciremo a dare un minimo di senso alla tua triste vicenda, perlomeno riusciremo a fare in modo che il tuo nome sia ricordato a lungo per una cosa molto importante.

Io non ho mai avuto dubbi, ma mi ha fatto piacere che la tua immagine ne sia uscita completamente pulita, malgrado gli infami e stupidi tentativi dei famigliari di uno degli assassini di diffamarti con l’affissione a Locarno, Gordola e anche vicino a casa nostra, di cartelli che dicevano che tu saresti morto per overdose e non per il pestaggio, poi infamie su di te e me in un blog e, pensa che hanno anche avuto il coraggio di chiamarci a casa anonimamente dicendoci quest’assurdità. Che stupida cattiveria, vero?

Ma tu eri pulito fino in fondo, non avevi bevuto, niente droghe, non hai fatto loro la benché minima provocazione e non ti sei neanche difeso, ti hanno ucciso così, gratis.
Adesso è tutto finito, la giustizia ha fatto ciò che doveva e ciò che ha potuto, chiaro che per noi nessuna pena avrebbe potuto compensare il vuoto che hai lasciato, però spero solo che impareranno, anche se un po’ lo dubito e poi spero che sia da monito per le teste calde che sono ancora in giro per le nostre strade.

Ecco, questo è parte di quello che è successo dopo che te ne sei andato, è proprio incredibile vero? Adesso tu stai bene, mentre noi qui dovremo imparare ad andare avanti, a convivere con il dolore, ma non ti dimenticheremo mai e ti voglio dire anche che io, la mamma e Deborah siamo fieri di averti avuto come figlio e fratello, adesso non ti vediamo più ma lo sappiamo che sei con noi, ci guidi e ci proteggi.

Un grande abbraccio dal tuo papà e da tutti quelli che ti hanno amato.